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Categoria: Autodeterminazione

SOLIDARIETÀ ANTIPSI/ANTI-INPS

Posted on 2024/04/22 - 2024/04/22 by Collettivo STRAPPI

Scriviamo questo testo per rompere il silenzio su quanto sta accadendo ad un compagno, per portargli la nostra solidarietà e complicità, e per condividere la sua storia, consapevoli che come la sua ce ne sono molte altre.

Un compagno che percepisce una pensione di invalidità sta subendo la ritorsione di vedersela quasi totalmente sottratta perché l’INPS, a seguito della verifica dei requisiti – a posteriori – per il reddito di cittadinanza percepito tra il 2021 e il 2022, ritiene non ne avesse diritto.

Si parla di una cifra complessiva di 7000 euro.

Per riavere i soldi indietro l’INPS intende però, da maggio, decurtargli quasi il 90% dell’invalidità, rischiando così di compromettere un intero percorso di emancipazione.

Inutile dire quanto questo metterebbe seriamente in difficoltà la quotidianità del compagno, che da anni non solo lotta per la sua autodeterminazione, ma contro un paradigma medico-psichiatrico in cui senza una rete sociale o un welfare familiare, non si ha nessuna reale scelta.

Non possiamo accettare che per riavere il reddito di cittadinanza lo Stato sottragga ad una persona tutta l’invalidità prelevandogli quel poco che le permetteva a malapena di fare fronte alle necessità primarie.

Durante la pandemia le difficoltà sono state tante, e così il compagno, come tante persone, ha fatto domanda per il reddito di cittadinanza, on-line. Ma le insidie della digitalizzazione sono infinite, basta una crocetta o una dichiarazione scorretta, che l’onere è tuo.

Per qualche tempo il compagno ha potuto sperimentare una vita più indipendente e autonoma, dalla famiglia, dai servizi. La verifica retroattiva a posteriori irrompe nella sua vita con quella violenza secca che solo la burocrazia statale è in grado di esprimere ed esercitare.

A questo mondo chi non ce la fa a stare al passo della cultura capitalista e lavorista ultra competitiva dominante è spronato ad adeguarsi con il bastone o con la carota alle misure assistenziali, obbligato a dimostrare il proprio status di ‘persona bisognosa’ tra servizi e procedure spesso mortificanti e impersonali, in cui barcamenarsi non è affatto scontato. Servizi spesso lontani anche dalla condizione sociale delle persone ‘utenti’, che giustamente tendono a volersene sbarazzare con il rischio però di non vedersi più riconosciuta alcuna forma di diritto a condizioni di inserimento lavorativo o di lavoro ‘protetto’ nè alcun tipo di tutela.

Al momento, per quanto il debito non si possa cancellare, il compagno sta tentando ogni via possibile per fare in modo che l’invalidità non sia colpita in modo così importante, tra colloqui con figure e operatori del sistema sanitario, affinchè un’ingiustizia del genere non passi inosservata, e sportelli sociali non istituzionali che offrono anche servizi di patronato, per la possibilità di avviare anche un ricorso.

Consapevoli che non ci vanno a genio nè i servizi istituzionali paternalisti nè l’impatto che il progressivo abbandono delle misure di welfare e di sostegno ha su chi vive sulla propria pelle stigma e discriminazioni, condividiamo quanto sta accadendo al compagnx perchè pensiamo ci riguardi tuttx e chiamiamo alla solidarietà.

strappi@canaglie.org – https://antipsi.noblogs.org


A Bologna il 2 maggio cena solidale ANTIPSI/ANTI-INPS  al Mercatino autogestito Senza Chiedere Permesso.

Posted in Antipsichiatria, Autodeterminazione

MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO

Posted on 2023/01/15 - 2024/04/22 by Collettivo STRAPPI


MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO

Siamo una rete di collettivi antipsichiatrici e singole persone da anni impegnate sul territorio a contrastare il ruolo sempre più ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, e i meccanismi attraverso i quali si espande sempre più capillarmente e trasversalmente al suo interno come strumento di controllo sociale.

Il 28 gennaio alle 10:00 saremo in presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza per portare il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə, e per contestare la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica – presente a Bologna unicamente all’interno del femminile. Nonostante infatti gli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) siano ufficialmente chiusi dal 2015, all’interno delle carceri italiane continuano ad essere presenti “repartini psichiatrici” per contenere e sedare quelle recluse e quei reclusi che non si adattano al contesto carcerario, che esprimono disagio, difficoltà emotive o squilibri durante la detenzione.


Perché esistono ancora sezioni psichiatriche in carcere se gli OPG sono stati chiusi?

Nel 2014 chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) il Ministero della Giustizia con una circolare del D.A.P. (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) ha istituito le A.T.S.M. (Articolazioni Tutela Salute Mentale).
Bisogna sapere che la legge 81/2014 riserva agli autori di reato dichiarati “incapaci di intendere e di volere per infermità mentale” – definiti “folli rei” – un iter giudiziario diverso da quello destinato ai comuni, che prevede le Residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), istituite, appunto, dopo la chiusura degli OPG. In questo iter giudiziario la pericolosità sociale di derivazione manicomiale la fa ancora da padrona, ma non tutti però finiscono nelle Rems. Nello specifico le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono sezioni istituite nelle carceri per quelle detenute e quei detenuti con una valutazione psichiatrica sopravvenuta alla detenzione, quindi successiva al giudizio – definiti “rei folli” – e che non possono perciò accedere alle Rems, che prevedono inoltre già di per sé lunghe lista di attesa.  

Cambiano le parole ma non la sostanza, morto un OPG se ne fa un altro

Le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono luoghi di annichilimento della personalità che esasperano la sofferenza della detenzione con l’isolamento prolungato, la contenzione psicologica, fisica e farmacologica. Si tratta di strutture che non solo non hanno nulla di “terapeutico” ma che nascono proprio per la necessità dell’istituzione penitenziaria di contenere e sedare le intemperanze dei ristretti in relazione al contesto detentivo. Voragini su cui non vogliamo siano spenti i riflettori.
Direzione e medici all’interno delle ATSM possono mettere in atto proroghe in modo estremamente violento e discrezionale (30 giorni prorogabili che possono tradursi in mesi di isolamento), questo nonostante sulla carta, a seguito della sentenza 99/2019 della Consulta, sia prevista la possibilità che il giudice possa disporre che, la persona che durante la detenzione manifesti una “grave malattia di tipo psichico”, venga curata fuori dal carcere e quindi concederle, anche quando la pena residua sia superiore a 4 anni, la misura alternativa della detenzione “umanitaria” o in “deroga”, come già previsto per le persone detenute con gravi malattie fisiche.


Il carcere-manicomio

L’ambiente carcerario può essere terribilmente nocivo per coloro che sono sfornitə di strumenti adeguati. Le difficoltà evidenti di una vita “libera” fatta di precarietà, impoverimento di beni materiali, reti sociali e di conseguenza di qualità del vivere, depauperano anche quelle risorse soggettive utili ad affrontare l’impatto con una quotidianità come quella carceraria. Gli addetti ai lavori denominano con “sindrome da prigionizzazione” le profonde difficoltà, l’alienazione e la sofferenza che la detenzione può comportare. La solitudine, la fatiscenza strutturale degli ambienti, gli spazi freddi e ristretti, l’alto numero di reclusə, l’insalubrità del cibo, l’assenza di acqua e docce adeguate, gli psicofarmaci a profusione e, se va bene, la tachipirina per ogni esigenza, l’impossibilità ad accedere a prevenzione, visite specialistiche, nonché a seguire i propri percorsi terapeutici, esasperano la reclusione causando fragilità, menomazioni e patologie che spesso dal carcere si protraggono anche dopo la scarcerazione. Condizioni dove l’eccezione non è tanto la ‘malasanità’ ma trovare medici non conniventi con le guardie. Il non rispetto del principio di territorialità inoltre rende ancora più dura l’esperienza della detenzione.
 Una quotidianità carceraria che oltre ad essere priva di dignità umana è, post pandemia e post rivolte, sempre più soggetta a soprusi di ogni tipo: dalla potenziata discrezionalità di ogni singola Direzione carceraria e Sanitaria, all’abuso di potere delle guardie penitenziarie. Senza considerare che il timore dei contagi e delle conseguenti politiche di gestione da parte delle Direzioni continua a rappresentare una fonte di ansia per chi è reclusə, oltre che uno strumento di vessazione e ricatto. Non adattarsi può tradursi in chiusura in sé stessi nel tentativo estremo di individuare una via di fuga. Come “fughe”, in fondo, sono spesso i numerosi suicidi e i moltissimi gesti autolesivi che ogni giorno si susseguono nelle patrie galere. Nel 2022 sono state 84 le persone detenute che hanno scelto il suicidio e chissà quante l’hanno tentato. E questi sono i numeri ufficiali, spesso in difetto. Numeri che si uniscono ai segni indelebili lasciati dalle torture fisiche e psichiche, nonchè dai processi, seguiti alle rivolte del marzo 2020, rivolte soppresse con la morte di almeno 14 detenuti (quelli di cui si hanno riscontri ufficiali) e con le violentissime mattanze che non possiamo nè vogliamo dimenticare, un grido rimasto inascoltato. Le disposizioni decise dall’amministrazione penitenziaria per “arginare” il pericolo dei contagi si tradussero nel 2020 nel totale isolamento delle persone detenute dal resto del mondo. Una quotidianità rinchiusa nelle celle, sempre però sovraffollate, poiché tutte le attività furono sospese. Niente colloqui con i familiari, impediti gli ingressi a qualsiasi operatore esterno. I criteri che caratterizzano il regime del 41bis furono estesi, di fatto, a tutte le sezioni presenti nelle carceri, così come la stessa norma prevede qualora lo Stato lo ritenga opportuno. In piena emergenza sanitaria, infatti, si decise di sottoporre interi reparti a molte delle rigide regole previste per questo regime piuttosto che adottare soluzioni volte alla riduzione del sovraffollamento e quindi ai rischi di contagio, sull’onda del più bieco e cinico giustizialismo che da anni caratterizza le politiche dei governanti di questo paese. In questi mesi il 41bis, regime di totale isolamento e di deprivazione sensoriale, da sempre presentato dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA) e dai maggiori organi di informazione come lo “strumento più efficace nella lotta alla mafia”, ha rivelato la sua vera essenza: una tortura normata. E ciò è stato possibile grazie alla drammatica scelta del compagno Alfredo Cospito che ha definito la quotidianità all’interno di quelle sezioni “una tomba per vivi” ed ha intrapreso, dal 20 ottobre 2022, uno sciopero della fame ad oltranza contro il 41bis e l’ergastolo ostativo, due “abomini del sistema penitenziario”. 

Per noi non si tratta di costruire altre sezioni o “repartini”, ma di svuotare quelli già esistenti

Quelli che parlano solo di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno riempite con le loro leggi razziste e liberticide: oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato “recupero sociale”). Questo grazie a leggi come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui bersaglio non è certo il grande narcotraffico – un giro miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo così –  ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di profitto. Una caccia alle streghe che conferma la funzione primaria del carcere come strumento di governo e gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, volto al mantenimento dell’ordine attuale, fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità affinché il processo di accumulazione capitalista proceda senza soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza delle sfruttate e degli sfruttati, sempre un po’ più in là. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale viene duramente repressə, come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.

Bologna: il repartino psichiatrico femminile con la sezione “nido” accanto

A Bologna l’Articolazione Tutela Salute Mentale prevede cinque posti e coinvolge unicamente il femminile. La collocazione isolata degli ambienti e il numero esiguo delle recluse previste conferma gli aspetti di segregazione che caratterizzano la sezione. Ad oggi nonostante diverse pressioni per la chiusura dell’articolazione non solo questa è ancora aperta ma addirittura millantata sui giornali come esempio “pragmatico” da seguire ed estendere.
Nel 2020/2021 lavori di ristrutturazione ne avevano comportato la chiusura provvisoria, quindi il trasferimento delle detenute presenti in quel momento in “articolazioni analoghe fuori regione”. Tra queste vogliamo ricordare Isabella P., 37 anni, accusata di furto, estorsione e minaccia a pubblico ufficiale, morta il 15 febbraio 2021 nel carcere femminile di Pozzuoli a causa delle massicce dosi di psicofarmaci somministratele e dei trattamenti ricevuti. Sarebbe dovuta uscire nel 2026, era alla sua settima carcerazione. Era considerata una detenuta difficile. A 18 anni aveva subito il suo primo Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Gli stessi lavori di ristrutturazione che hanno visto trasferire Isabella hanno portato all’inaugurazione, a luglio 2021, della nuova “sezione nido”, tre celle adiacenti all’articolazione salute mentale per detenute madri con bambini fino a tre anni. Il Garante dei detenuti ha dichiarato di sentirsi “preoccupato” per l’apertura di questa sezione accanto ai locali dell’articolazione psichiatrica, dai quali, giorno e notte, uscirebbero “grida e lamenti”. Purtroppo nonostante la legge 62 del 2011 indichi in questi casi di favorire gli arresti domiciliari e /o la creazione di case famiglia protette, ad oggi rimane assente un concreto interessamento per il superamento anche di questi istituti.

Per questo invitiamo tuttə sabato 28 gennaio a Bologna e a Imola, per una giornata di lotta antipsichiatrica, approfondimento e scambio.

Assemblea antipsichiatrica

SABATO 28 GENNAIO GIORNATA ANTIPSICHIATRICA

Bologna

Alle 10:00 presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza per portare il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə, e per contestare la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione psichiatrica presente a Bologna unicamente all’interno del femminile – oltre che la recente sezione “nido”, istituita accanto.

Imola (Spazio autogestito Brigata Prociona)*

Alle 13:30 pranzo a cura del Vascello Vegano a sostegno della biblioteca antipsichiatrica del Collettivo Strappi 

Alle 18:00 presentazione del libro “Divieto di Infanzia. Psichiatria, controllo e profitto”.“Attualmente a scuola sono sempre di più i bambini che hanno diagnosi psichiatriche. L’attuale tendenza dell’insegnamento e della pedagogia è quella di farsi coadiuvare dalla neuropsichiatria ogni qualvolta una bambina o bambino disturba o contrasta i programmi formativi.” Ne parliamo con gli autori Chiara Gazzola e Sebastiano Ortu.

Alle 20:00 cena benefit per la nuova Cassa di solidarietà e mutuo soccorso antipsichiatrica

Alle 21:30 “The Jackson Pollock” live, duo Garage Punk dal sound esplosivo!

* Per raggiungere il Brigata in via Riccione 4 a Imola : dalla stazione uscire sul retro (lato via Serraglio) svoltare alla prima a sinistra (via Cesena) dopodichè la prima a destra è via Riccione.

 

Posted in Antipsichiatria, Autodeterminazione, Carcere, Infanzia e adolescenza, Scuola

T.S.O. GUIDA MOLTO PRATICA ALL’AUTODIFESA

Posted on 2022/12/27 - 2022/12/29 by Collettivo STRAPPI

T.S.O. GUIDA MOLTO PRATICA ALL’AUTODIFESA

Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Cosa può fare chi è dentro. Cosa può fare chi è fuori.

Pur non riconoscendo nessuna validità né alla psichiatria, né alle istituzioni che la praticano, né alle leggi che la regolano, dobbiamo riconoscere che il più delle volte l’unico modo per liberarsi da un ricovero coatto è ricorrere alle procedure di autotutela che la legge prevede. Con questo non vogliamo negare il diritto di ognunx all’affermazione di se stessx, né tantomeno la libertà di ribellarci a chi cerca di recluderci o modificare la nostra volontà. Ma in ogni caso consigliamo, per tutti indistintamente, di adoperarsi per conoscere le leggi che, pur conferendo alla psichiatria il potere di rinchiuderci, possono, per la loro stupidità, aprirci anche spazi di possibile liberazione dalla psichiatria stessa.

Molti T.S.O. presentano grossolani errori sia nella forma che nel contenuto, cioè vengono eseguiti con delle irregolarità a cui ci si può appellare sia per evitare il ricovero che per chiederne eventuale revoca o impedirne il rinnovo.

PDF: T.S.O. GUIDA MOLTO PRATICA ALL’AUTODIFESA
PDF: MODELLO RICORSI T.S.O.

Posted in Antipsichiatria, Autodeterminazione, Autodifesa, Materiali, Opuscoli, T.S.O.

LIBRI: IL TELEFONO VIOLA. CONTRO I METODI DELLA PSICHIATRIA

Posted on 2022/12/26 - 2022/12/28 by Collettivo STRAPPI

di Giorgio Antonucci  ed Alessio Coppola

1989 edizioni Elèuthera

Davide subisce l’amputazione della gamba a causa di un ricovero coatto. Valerio e Teresa vengono per decine di anni legati e segregati per semplice ignoranza ed emarginazione sociale. Claudio pensa di essere perseguitato dalla CIA e per questa convinzione viene perseguitato di fatto dalla psichiatria. Altri, come Carlo Rellini, muoiono ancora oggi a causa dell’elettroshock. Le storie riportate in questo libro, fra le tante vissute al telefono viola nei suoi primi quattro anni di attività, sono state scelte non in base a criteri di curiosità giornalistica, ma in quanto rappresentative di problemi che fanno parte dell’esperienza quotidiana di migliaia di persone.

PDF: Il Telefono Viola

 

Posted in Antipsichiatria, Autodeterminazione, Libri, Materiali, Riduzione del danno

MODELLO DI RICORSO AL T.S.O. E DELEGA A PERSONA DI FIDUCIA

Posted on 2022/12/24 - 2022/12/28 by Collettivo STRAPPI

PER RIFERIMENTI ED INDICAZIONI: GUIDA MOLTO PRATICA ALL’AUTODIFESA
MODULI RICORSO PDF

2. Questo ricorso può essere presentato dalla persona direttamente coinvolta che delega anche una persona di fiducia a rappresentarla a giudizio.


L. 23/12/1978 n. 833, art. 35 comma 8. Ricorso avverso Trattamento Sanitario Obbligatorio

Il/la sottoscritto/a __________________, nata a _______________, il _____________, residente a _______________, in via ______________________, in atto ricoverato/a, in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio (Tso), presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale di _____________________________

visto l’art. 35 comma 8 della L. 23/12/1978
ricorre

Contro il provvedimento di Tso in regime di ricovero ospedaliero disposto nei suoi confronti dal Sindaco del Comune di __________________

in quanto

(Considera che: Il T.S.O. può essere eseguito solo se sussistono queste tre condizioni: 1. L’individuo presenta alterazioni psichiche tali da necessitare interventi terapeutici urgenti; 2. L’individuo rifiuta l’interventi terapeutici; 3.L’individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.*)

_________________________________
_________________________________

Chiede altresì la sospensione immediata del Tso e dà mandato al/alla sig./sig.ra _______________ nato/a a _________________, il ______________, di rappresentarlo in giudizio.

lì,                                                  Firma

 



2. Questo ricorso può essere proposto da chi ne ha interesse (familiari, amici, associazioni ecc..) e intende dare la propria disponibilità a rappresentare la persona in giudizio.

 

L. 23/12/1978 n. 833, art. 35 comma 8. Ricorso avverso Trattamento Sanitario Obbligatorio

Il/La sottoscritta/o _____________________ nato/a a _______________
il _____________ residente a __________________ in via __________________

visto l’art. 35 comma 8 della L. 23/12/1978
ricorre

contro il provvedimento di Tso in regime di ricovero ospedaliero disposto dal Sindaco del Comune di _____________ nei confronti del/della cittadino/a ________________, ricoverato/a, in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio (Tso), presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale di _____________________

in quanto

(Considera che: Il T.S.O. può essere eseguito solo se sussistono queste tre condizioni: 1. L’individuo presenta alterazioni psichiche tali da necessitare interventi terapeutici urgenti; 2. L’individuo rifiuta l’interventi terapeutici; 3.L’individuo non può essere assistito in altro modo rispetto al ricovero ospedaliero.*)

___________________________________
___________________________________

Chiede altresì la sospensione immediata del Tso e di rappresentare il/la cittadino/a
_________________ in giudizio.

lì,                                              Firma

 


Chi e’ sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, e chiunque vi abbia interesse, puo’ proporre al tribunale competente per territorio ricorso contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare.

Nel processo davanti al tribunale le parti possono stare in giudizio senza ministero di difensore e farsi rappresentare da persona munita di mandato scritto in calce al ricorso o in atto separato. Il ricorso puo’ essere presentato al tribunale mediante raccomandata con avviso di ricevimento.



* https://antipsi.noblogs.org/informazioni-sul-tso/

* L. 23/12/1978 n. 833, art. 35

 


	
Posted in Antipsichiatria, Autodeterminazione, Autodifesa, T.S.O.

SMASH REPRESSION!

Posted on 2022/12/18 - 2022/12/27 by Collettivo STRAPPI

Contributi del collettivo antipsichiatrico “Strappi” alla street rave di Bologna del 17 dicembre contro il decreto antirave “SMASH REPRESSION”

Martedì 13/12 con un maxi intervento di polizia è stata sgomberata l’occupazione di via Stalingrado 31. Un’occupazione che come soggettività in lotta contro il carcere, la psichiatria e la società che li producono, abbiamo profondamente sostenuto, consapevoli della sempre maggiore necessità di spazi di incontro liberi dal disciplinamento istituzionale. Un’occupazione durata solo poche settimane ma che a molti di noi sono sembrati mesi per l’intensità e la qualità delle interazioni che si sono sviluppate e che ancora ci scaldano il cuore.

La violenza con cui in ogni città si sta annientando qualsiasi spazio di libertà non ci vedrà passive!

Siamo qui per dire che intendiamo opporci con ogni mezzo ad un mondo che ci vuole sempre più addomesticate e sottomesse. Vogliamo essere sabbia negli ingranaggi del potere!

Ci rivendichiamo di sentirci disadattate all’interno di questo modello di sviluppo insensato e irrazionale. La loro “normalità” ci fa schifo!

A colpi di riqualificazione, decoro e repressione, lungo le strade in ogni città vediamo rastrellamenti quotidiani abbattersi sulle fasce più marginalizzate della società. E’ questa la loro ‘normalità’!

Il taser viene sempre più legittimato contro i poveri e chi vive un’esistenza fuori dagli schemi normati imposti dalla società.

Assistiamo all’uso sempre più frequente e capillare del daspo urbano per allontanare persone “sgradite”, e della manipolabilissima categoria di “pericolosità sociale” di derivazione psichiatrica e fascista per reprimere il conflitto e contenere/sedare diseguaglianze e oppressioni.

Vediamo continuamente puntare il dito contro la “malamovida”, neologismo che si vuole contrapposto a “buona movida”, cioè a quella socialità che rientra perfettamente negli spazi e nei tempi del consumo.

Anche l’infanzia è nel mirino: attraverso la costruzione mediatica del “bullo” e della “baby gang”, giovani e adolescenti sono continuamente trattati e rappresentati come un problema di ordine pubblico da reprimere mentre rimangono intatti quei modelli che il sistema stesso riproduce ed esalta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli all’interno di una realtà dove solo chi ha soldi e potere è preso in considerazione, e chi non accetta di essere un cavallino da corsa non è nessuno.

In nome delle bandiere del decoro e del degrado assistiamo alla costruzione di sempre nuovi “mostri” su cui scaricare insicurezza e timori per fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso: l’obbiettivo è spezzare qualsiasi possibilità di solidarietà e impedire qualsivoglia forma di messa in discussione del presente. Una “sicurezza” sempre più “preventiva”, volta ad asfaltare tutti gli spazi di fiducia, libertà, relazione, intersezione, prossimità e solidarietà dal basso.

La psichiatria è pronta a raccogliere i cortocircuiti di queste oppressioni e a colonizzare con nuovo slancio il quotidiano e l’individuo: la platea di “difetti” e “tare” da “curare” è destinata ad aumentare proporzionalmente allo sfruttamento e all’oggettivazione che attraversano sempre più infanzia ed età adulta. L’isolamento e il disciplinamento esasperato di ogni aspetto della vita, l’insicurezza legata al presente e al futuro, la vede infatti in prima fila nell’individuazione di nuovi “disturbi” e “terapie” per “contenere” con nuove diagnosi e nomenclature le “ansie”, legato a rabbia, paura e frustrazione in crescente aumento.
Non vogliono che stiamo bene, vogliono che stiamo buone!

Conosciamo psichiatria e polizia, conosciamo le loro “cure” e i loro trattamenti. Riappropriamoci della nostra rabbia, della nostra gioia! Vogliamo essere liberx di ballare e di esplodere con tutta la nostra vitalità
Restituiamo al mittente un briciolo di quella frustrazione che ci è impostata ogni giorno all’interno di una vita che non ci appartiene e che vorremmo radicalmente diversa.

Rompiamo i ruoli imposti! Riprendiamoci il tempo, lo spazio, riprendiamoci le strade, riprendiamoci il presente!


 

Siamo matte, schifose, balorde, tossiche, criminali, feccia!
 Siamo l’anomalia.
 Quando c’è un’anomalia del grande quadro capitalistico, la identificano, la etichettano, la stigmatizzano, la demonizzano finché non diventa identitaria, finché non viene allontanata, ingabbiata, ricoverata, anestetizzata, sterminata.
 Così agisce la repressione. Agisce con violenza, o in maniera più silenziosa facendo sì che l’autodeterminazione diventi una diagnosi e il libero arbitrio diventi il rispetto indiscutibile delle regole.
Siamo strane e quindi diventa un dovere reprimerci. Sgomberano spazi in cui le persone hanno la possibilità di parlare del loro disagio senza dover incorrere in un iter burocratico e ospedaliero fatto di soldi da spendere, farmaci da prendere, sguardi da scansare, cicatrici difficili da guarire. Creano leggi che impediscono il divertimento autogestito senza fini produttivi o lucro, perchè la socialità si può fare sì ma come da normativa. Noi gente allegra abbiamo bisogno di ballare, urlare, ridere e giocare, con la nostra libertà, stiamo male se ciò non avviene, tutti stanno male, tutti. Se il controllo avviene anche sul tempo libero, in un mondo che monetizza il valore del tempo, ecco che la repressione funziona, ed ecco che ci ammaliamo. La malattia è un segnale che qualcosa non va e tutto conduce a qualcosa che non va dentro di noi, malate da sempre. La malattia è e deve essere un segnale che qualcosa non va là fuori. Che la responsabilità non è sempre nostra, dei nostri sensi di colpa cristiani, dei nostri errori. La responsabilità è politica (porco dio).
 Rinchiudono compagni, chiudono le loro bocche, gettano nell’oblio delle celle le loro identità. Una tortura, ecco cos’è il 41 bis. Una tortura. Che ha lo scopo di annullare la persona. Ma non sono riusciti a cancellare i nostri compagni Alfredo e Juan, e la nostra compagna Anna! La loro lotta risuona e rimane nelle loro azioni e in noi che stiamo al di là delle sbarre. La loro lotta contro il sistema è diventata la lotta contro l’atrocità del carcere e le misure detentive. Non solo per i compagni e compagne anarchiche, ma per tutte le individualità che subiscono la reclusione. Le galere sono l’arma del boia che è questa società e infonde paura. La paura è il manganello che fa più male. La paura di finire in gabbia, chiude le bocche e spacca le teste. La paura di non vedere più il cielo nella sua immensità fa raddrizzare lo storto. E se ciò non avviene ecco che il sistema ti vomita in faccia l’esempio negativo del balordo o balorda del quartiere, delle periferie che ha preso la strada sbagliata e che ha la punizione che si merita. Quella strada sbagliata, quei ghetti li ha creati lo stesso sistema che invece protegge i grandi centri in cui l’economia invece si muove in banche, carte e conti finanziari al posto delle buste di plastica, bilancini e doppi pavimenti delle periferie e province.
 Ricoverano in modo disumano le persone che soffrono. Il ricovero coatto, il tso è la pratica che forse lede più di tutto la libertà di scelta di una persona. Viene imposta una cura violenta, sbattendo nello stigma in modo brutale e permanente la persona che lo subisce e che sta vivendo una sofferenza. Non è un momento, il tso te lo porti tutta la vita. Una pratica inaccettabile. Lo schizzato non è capace di intendere e di volere e per gestirlo è giusto attuare una misura violenta e obbligatoria. Questa è la giustificazione. Declassando una persona a un oggetto dannoso, una persona diventa una bomba che va spenta e distrutta. Con lacci, lettini, punture, infermieri e sbirri. Ma dopo che l’hanno spenta, l’obiettivo è che mai più si riaccenderà. Inaccettabile. La coercizione detentiva del tso è ciò che più rappresenta  l’incapacità del potere di prendersi cura del disagio creato dallo stesso. E allora ecco l’ennesimo strumento repressivo. Perchè quando emerge l’anomalia, si deve rinchiudere, obbligare a guarirla, se si ha fortuna reinserire il soggetto nella produttività, se no emarginarlo, mettergli un marchio e annichilirlo.
Mostri, quando li guardo mi sembrano mostri. Quelli lì, col caschetto lo scudo e la divisa,  quelli lì seduti in poltrone, in giacca e cravatta… e io di mostri nella mia testa ne ho visti parecchi, ma quelli lì, quei mostri, vi assicuro che fanno molta più paura.
Noi non siamo mostri!  urliamo contro la loro mostruosità, contro la loro repressione, urliamo insieme per non avere più paura.
Contro i loro abiti cuciti con tessuto di odio,di violenza, di galere, di sgomberi, di emarginazione, di tortura.


Posted in Antiproibizionismo, Antipsichiatria, Autodeterminazione, Iniziative

UNA BIBLIOTECA PER L’ANTIPSI! PROIEZIONE “MAGNIFICHE SORTI E PROGRESSIVE”

Posted on 2022/11/23 - 2023/03/23 by Collettivo STRAPPI

UNA BIBLIOTECA PER L’ANTIPSI!

Aperitivo e proiezione di autofinanziamento

Vogliamo costruire in questo nuovo spazio un punto di informazionee controinformazione antipsichiatrico, per combattere quella deriva che vede la psichiatria sempre più impegnata a mettere le sue toppe mediche a problematiche sociali e ad accaparrarsi la facoltà di diagnosi/cura/controllo, riproducendo stigmi e isolamento.

Vorremmo arricchire l’offerta della nostra piccola libreria critica allargando la possibilità di consultazione e scambio, perchè siamo convinte che autodifesa e autodeterminazione sia prima di tutto collettivizzare le esperienze e riappropriarsi del sapere.

LUNEDI 28 NOVEMBRE

Dalle 19:00 aperitivo/cena, musica, convivialità e banchetti informativi

Dalle 20:30 proiezione di “Magnifiche sorti e progressive” film documentario che ha per protagonisti Renato Curcio e l’ergastolo di Santo Stefano…

una struttura panottica come metafora della cosiddetta “Rivoluzione Digitale”

*Al nuovo spazio occupato in via Stalingrado 31 a Bologna*
“Infestazioni”

Posted in Antipsichiatria, Autodeterminazione, Cinema, Iniziative, Tecnologie e digitalizzazione

LIBRI: NEMESI MEDICA

Posted on 2022/11/21 by Collettivo STRAPPI

NEMESI MEDICA
Ivan Illich

“La corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute.”

1976

Ivan lllich conduce in questo suo libro una serrata analisi critica che demitizza l’istituzione medica. L’estrema medicatizzazione della società e la gestione professionale del dolore e della morte appaiono a lllich come l’esempio paradigmatico di un fenomeno di dimensioni più ampie. La “nemesi medica”, cioè la “vendetta”, la minaccia per la salute quale conseguenza di una crescita eccessiva dell’organizzazione sanitaria, è infatti solo un aspetto della più generale “nemesi industriale”, cioè degli effetti paradossali e delle ricadute negative di uno sviluppo abnorme della tecnologia e dei servizi. Scritto nel 1976, questo libro è oggi considerato un classico del moderno pensiero radicale.

PDF: Ivan-Illich-Nemesi-medica

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LIBRI: TECNOLOGIE DEL DOMINIO. LESSICO MINIMO DI AUTODIFESA DIGITALE

Posted on 2022/11/14 - 2022/11/14 by Collettivo STRAPPI

LIBRI: TECNOLOGIE DEL DOMINIO. LESSICO MINIMO DI AUTODIFESA DIGITALE

Collettivo Ippolita
2017
Le parole delle tecnologie del dominio sono molte, e riguardano tutti gli abitanti del pianeta Terra, anche non umani, anche le macchine. Alcune sono antiche, altre sono di nuovo conio; spesso sono termini inglesi: Algoritmo, Big Data, Blockchain, Digital labour, Gamificazione, Internet of Things, Pornografia emotiva, Privacy, Profiling, Trasparenza radicale e altre ancora. Sono collegate fra loro da una fitta trama di rimandi e sottintesi, una rete di significati colma di ambivalenze e incomprensioni. Insieme compongono il variegato mosaico della societa presente e di quella a venire. In questo quadro emerge come ideologia prevalente I’anarco-capitalismo, una dottrina vaga eppure molto concreta nei suoi effetti devastanti sui legami sociali, la costruzione delle identità individuali e collettive, la politica. Sembrano parole d’ordine solide come acciaio temprato, senza crepe, senza debolezze. Ma a osservarle con le lenti dell’ironia, con gli occhiali dello humor e della consapevolezza storica, con il desiderio hacker di smontarle e capire come funzionano, si sciolgono come neve al sole.

PDF: Tecnologie del dominio

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LIBRI: L’ALGORITMO SOVRANO. METAMORFOSI IDENTITARIE E RISCHI TOTALITARI NELLA SOCIETÀ ARTIFICIALE

Posted on 2022/11/14 - 2022/11/14 by Collettivo STRAPPI

L’ALGORITMO SOVRANO.
METAMORFOSI IDENTITARIE E RISCHI TOTALITARI NELLA SOCIETÀ ARTIFICIALE

Renato Curcio
2018

Nel mondo virtuale Tutto può essere finto. Viviamo in una società accelerata da molti artifici. La successione sempre più veloce e frammentata delle apparenze quotidiane, iper-stimolata da immagini scioccanti, slogan terribili, cinguettii robotici, post virali, pubblicità d’ogni tipo esposte o nascoste, finisce con l’indurre effetti multipli di lucido stordimento. Percezioni alterate. Stati di coscienza permanentemente modificati. Lo stupefacente si è fatto misura della comunicazione ordinaria e tutti noi, pur sapendolo in qualche vago modo, soggiacciamo comunque al suo effetto e ne diventiamo dipendenti. Questo contesto, incessantemente riprodotto dall’instancabile macchina algoritmica, ormai ben oltre la temporalità umana ancorata alle periodizzazioni biologiche della veglia e del sonno, ha per fonte gratuita e paradossale proprio la nostra energia comunicativa. La parte attiva e produttiva, a ben vedere, siamo proprio noi, gli utilizzatori. E lo siamo, in parte, perché costretti dalle nuove configurazioni della sopravvivenza nella società artificiale; per non finire al margine o esclusi. In parte – forse più rilevante ancora – perché affascinati dalle mitologie e dagli effetti speciali mediante cui i possessori del capitale algoritmico organizzano e perseguono la perpetuazione del loro dominio e della loro egemonia. Siamo noi che generiamo la materia prima – le tracce e i dati – della loro economia. Siamo noi che, contro i nostri stessi e più essenziali interessi, rendiamo effettiva la loro capacità d’indurre le nuove forme storiche del loro potere e della nostra sudditanza.

Il momento non è affatto ordinario. Per la prima volta nella storia della nostra specie, a seguito dell’espansione rapida e pervasiva delle tecnologie di intermediazione digitale, l’esperienza umana non si compie più soltanto o in prevalenza nello spazio-tempo dei corpi in relazione ma si proietta anche e simultaneamente in uno spazio-tempo virtuale. Siamo investiti da due processi asimmetrici regolati da logiche diverse che c’impongono, volenti o nolenti, una dissociazione identitaria radicale e permanente, una dissociazione che, comunque venga soggettivamente interpretata e gestita, non è affatto padroneggiata e per questo viene ampiamente sfruttata.

Questa nuova e più complessa situazione contestuale e identitaria presenta delle differenze radicali rispetto alle pratiche che fino a pochi” anni fa eravamo abituati a compiere nella vita reale. Abitudini e ritualità consolidate fin dai tempi remoti sono State travolte. Nelle nuove condizioni infatti ci troviamo a dover affrontare una formazione sociale più complessa e soprattutto caratterizzata dalla compenetrazione intermittente delle esperienze relazionali in presenza e di quelle in connessione. Voglio dire che in quanto umani, l’ibridazione sempre più ampia con dispositivi digitali in tutti gli ambiti della nostra esperienza – apprendimento comunicazione, lavoro, consumo, divertimento, ecc. – e la sua implicazione simbiotica, ci inducono a oscillare, con frequenza crescente, tra i due contesti e quindi a vivere in modo simultaneo esperienze dissimili. Se nei contesti relazionali gli scambi comunicativi restano “faccia-a-faccia”, in quelli online dominano le connessioni tra alias e i corpi “svaniscono” o meglio subiscono una risignificazione antropologica dall’incerto destino. Nel regno delle connessioni, avatar o alias li sostituiscono. D’altra parte, la traiettoria umana non conosce tragitti reversibili e il “ritorno” a un solo contesto – quello dominato dagli scambi faccia-a-faccia – in una prospettiva di specie è ormai inimmaginabile. E anche il prossimo futuro, per nostra fortuna, benché una valanga di proiezioni precettive o distopiche ce lo dipingano ora fosco come una catastrofe imminente, ora smart come l’ultimo gadget della Apple, resta, a loro gran dispetto, inattingibile. Le proiezioni predittive, nonostante le loro supponenti ambizioni non sono in grado di varcare i suoi cancelli. Di una cosa però dobbiamo prendere atto: in gran parte del pianeta, non adeguarsi al passo veloce delle tecnologie digitali non viene più neppure “concesso”.

I contesti obbliganti s’infittiscono e un gran numero di operazioni necessarie alla semplice sopravvivenza ha già fatto trasloco nel virtuale, mentre altre sono in lista d’attesa.

Naturalmente questo è fonte di molte difficoltà di adattamento fino a oggi sconosciute, e di inedite dissonanze identitarie perché nelle due dimensioni “tempo”, “spazio” e “velocità” non si assomigliano affatto e anzi differiscono qualitativamente dando luogo a vissuti spaesanti per i quali – qualunque sia la classe di età – non siamo ancora sufficientemente “addomesticati” e dunque adeguatamente preparati. Così, mentre tutto ciò c’impone urgenti trasformazioni sociali, culturali e psicologiche nel modo di concepire e organizzare gli apparati istituzionali e la vita quotidiana, ognuno di noi resta esposto a molti rischi per la maggior parte minimizzati, mimetizzati e impercepiti. Il più estremo dei quali, come già si osserva, è l’affievolimento della vita di relazione a beneficio di quella in connessione, con l’inevitabile conseguenza di una usura progressiva dei legami di specie spinta fino allo sbriciolamento degli spazi residui di sociabilità.
Per inoltrarci in questo scenario turbolento porteremo anzitutto l’attenzione su quella frontiera in cui i principali dispositivi digitali, esercitando pressioni sulle nostre più consuete esperienze relazionali, inducono evidenti torsioni identitarie; torsioni che ci proiettano nel vivo malessere di ma mutazione antropologica in pieno svolgimento. Anche qui, come abbiamo fatto in esplorazioni precedenti, ci serviremo di alcune narrazioni d’esperienza raccolte in diversi cantieri socio-analitici e delle riflessioni che esse hanno suscitato in due laboratori svolti tra gennaio e aprile del 2018 a Roma e a Milano. Si tratterà naturalmente di una esplorazione incompiuta, come del resto è incompiuta ogni impresa umana. Incompiuta ma aperta ai
confronti che questa sua restituzione sociale riuscirà a suscitare. Questa del resto è una buona via anche per misurarne i limiti e per immaginare, nel vivo di una effettiva dialettica sociale, ulteriori e più ampie prospettive.

PDF: L’algoritmo sovrano

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