LIBRI: TECNOLOGIE DEL DOMINIO. LESSICO MINIMO DI AUTODIFESA DIGITALE
LIBRI: TECNOLOGIE DEL DOMINIO. LESSICO MINIMO DI AUTODIFESA DIGITALE
Collettivo Ippolita
2017
Le parole delle tecnologie del dominio sono molte, e riguardano tutti gli abitanti del pianeta Terra, anche non umani, anche le macchine. Alcune sono antiche, altre sono di nuovo conio; spesso sono termini inglesi: Algoritmo, Big Data, Blockchain, Digital labour, Gamificazione, Internet of Things, Pornografia emotiva, Privacy, Profiling, Trasparenza radicale e altre ancora. Sono collegate fra loro da una fitta trama di rimandi e sottintesi, una rete di significati colma di ambivalenze e incomprensioni. Insieme compongono il variegato mosaico della societa presente e di quella a venire. In questo quadro emerge come ideologia prevalente I’anarco-capitalismo, una dottrina vaga eppure molto concreta nei suoi effetti devastanti sui legami sociali, la costruzione delle identità individuali e collettive, la politica. Sembrano parole d’ordine solide come acciaio temprato, senza crepe, senza debolezze. Ma a osservarle con le lenti dell’ironia, con gli occhiali dello humor e della consapevolezza storica, con il desiderio hacker di smontarle e capire come funzionano, si sciolgono come neve al sole.
LIBRI: L’ALGORITMO SOVRANO. METAMORFOSI IDENTITARIE E RISCHI TOTALITARI NELLA SOCIETÀ ARTIFICIALE
L’ALGORITMO SOVRANO.
METAMORFOSI IDENTITARIE E RISCHI TOTALITARI NELLA SOCIETÀ ARTIFICIALE
Renato Curcio
2018
Nel mondo virtuale Tutto può essere finto. Viviamo in una società accelerata da molti artifici. La successione sempre più veloce e frammentata delle apparenze quotidiane, iper-stimolata da immagini scioccanti, slogan terribili, cinguettii robotici, post virali, pubblicità d’ogni tipo esposte o nascoste, finisce con l’indurre effetti multipli di lucido stordimento. Percezioni alterate. Stati di coscienza permanentemente modificati. Lo stupefacente si è fatto misura della comunicazione ordinaria e tutti noi, pur sapendolo in qualche vago modo, soggiacciamo comunque al suo effetto e ne diventiamo dipendenti. Questo contesto, incessantemente riprodotto dall’instancabile macchina algoritmica, ormai ben oltre la temporalità umana ancorata alle periodizzazioni biologiche della veglia e del sonno, ha per fonte gratuita e paradossale proprio la nostra energia comunicativa. La parte attiva e produttiva, a ben vedere, siamo proprio noi, gli utilizzatori. E lo siamo, in parte, perché costretti dalle nuove configurazioni della sopravvivenza nella società artificiale; per non finire al margine o esclusi. In parte – forse più rilevante ancora – perché affascinati dalle mitologie e dagli effetti speciali mediante cui i possessori del capitale algoritmico organizzano e perseguono la perpetuazione del loro dominio e della loro egemonia. Siamo noi che generiamo la materia prima – le tracce e i dati – della loro economia. Siamo noi che, contro i nostri stessi e più essenziali interessi, rendiamo effettiva la loro capacità d’indurre le nuove forme storiche del loro potere e della nostra sudditanza.
Il momento non è affatto ordinario. Per la prima volta nella storia della nostra specie, a seguito dell’espansione rapida e pervasiva delle tecnologie di intermediazione digitale, l’esperienza umana non si compie più soltanto o in prevalenza nello spazio-tempo dei corpi in relazione ma si proietta anche e simultaneamente in uno spazio-tempo virtuale. Siamo investiti da due processi asimmetrici regolati da logiche diverse che c’impongono, volenti o nolenti, una dissociazione identitaria radicale e permanente, una dissociazione che, comunque venga soggettivamente interpretata e gestita, non è affatto padroneggiata e per questo viene ampiamente sfruttata.
Questa nuova e più complessa situazione contestuale e identitaria presenta delle differenze radicali rispetto alle pratiche che fino a pochi” anni fa eravamo abituati a compiere nella vita reale. Abitudini e ritualità consolidate fin dai tempi remoti sono State travolte. Nelle nuove condizioni infatti ci troviamo a dover affrontare una formazione sociale più complessa e soprattutto caratterizzata dalla compenetrazione intermittente delle esperienze relazionali in presenza e di quelle in connessione. Voglio dire che in quanto umani, l’ibridazione sempre più ampia con dispositivi digitali in tutti gli ambiti della nostra esperienza – apprendimento comunicazione, lavoro, consumo, divertimento, ecc. – e la sua implicazione simbiotica, ci inducono a oscillare, con frequenza crescente, tra i due contesti e quindi a vivere in modo simultaneo esperienze dissimili. Se nei contesti relazionali gli scambi comunicativi restano “faccia-a-faccia”, in quelli online dominano le connessioni tra alias e i corpi “svaniscono” o meglio subiscono una risignificazione antropologica dall’incerto destino. Nel regno delle connessioni, avatar o alias li sostituiscono. D’altra parte, la traiettoria umana non conosce tragitti reversibili e il “ritorno” a un solo contesto – quello dominato dagli scambi faccia-a-faccia – in una prospettiva di specie è ormai inimmaginabile. E anche il prossimo futuro, per nostra fortuna, benché una valanga di proiezioni precettive o distopiche ce lo dipingano ora fosco come una catastrofe imminente, ora smart come l’ultimo gadget della Apple, resta, a loro gran dispetto, inattingibile. Le proiezioni predittive, nonostante le loro supponenti ambizioni non sono in grado di varcare i suoi cancelli. Di una cosa però dobbiamo prendere atto: in gran parte del pianeta, non adeguarsi al passo veloce delle tecnologie digitali non viene più neppure “concesso”.
I contesti obbliganti s’infittiscono e un gran numero di operazioni necessarie alla semplice sopravvivenza ha già fatto trasloco nel virtuale, mentre altre sono in lista d’attesa.
Naturalmente questo è fonte di molte difficoltà di adattamento fino a oggi sconosciute, e di inedite dissonanze identitarie perché nelle due dimensioni “tempo”, “spazio” e “velocità” non si assomigliano affatto e anzi differiscono qualitativamente dando luogo a vissuti spaesanti per i quali – qualunque sia la classe di età – non siamo ancora sufficientemente “addomesticati” e dunque adeguatamente preparati. Così, mentre tutto ciò c’impone urgenti trasformazioni sociali, culturali e psicologiche nel modo di concepire e organizzare gli apparati istituzionali e la vita quotidiana, ognuno di noi resta esposto a molti rischi per la maggior parte minimizzati, mimetizzati e impercepiti. Il più estremo dei quali, come già si osserva, è l’affievolimento della vita di relazione a beneficio di quella in connessione, con l’inevitabile conseguenza di una usura progressiva dei legami di specie spinta fino allo sbriciolamento degli spazi residui di sociabilità.
Per inoltrarci in questo scenario turbolento porteremo anzitutto l’attenzione su quella frontiera in cui i principali dispositivi digitali, esercitando pressioni sulle nostre più consuete esperienze relazionali, inducono evidenti torsioni identitarie; torsioni che ci proiettano nel vivo malessere di ma mutazione antropologica in pieno svolgimento. Anche qui, come abbiamo fatto in esplorazioni precedenti, ci serviremo di alcune narrazioni d’esperienza raccolte in diversi cantieri socio-analitici e delle riflessioni che esse hanno suscitato in due laboratori svolti tra gennaio e aprile del 2018 a Roma e a Milano. Si tratterà naturalmente di una esplorazione incompiuta, come del resto è incompiuta ogni impresa umana. Incompiuta ma aperta ai
confronti che questa sua restituzione sociale riuscirà a suscitare. Questa del resto è una buona via anche per misurarne i limiti e per immaginare, nel vivo di una effettiva dialettica sociale, ulteriori e più ampie prospettive.
LIBRI: RECLUSIONE VOLONTARIA
RECLUSIONE VOLONTARIA
Renato Curcio
1997
All’origine di queste pagine c’è una domanda che l’autore si pone da quando, nel 1974, ha varcato la soglia di una prigione: cosa succede a chi si trova intrappolato in una situazione estrema?
Qui viene seguito il sentiero di quelle persone che, in tutte le epoche e in ogni lato del mondo, hanno scelto volontariamente di recludersi: dentro una grotta, un cubo di muri, un deserto, un bosco; o dentro un mondo di segni e di linguaggi solitari. La scelta della reclusione volontaria, come tentativo vitale di sottrarsi ad una qualche forma di reclusione esplicita o mascherata, è presente nella vita ordinaria di ciascuno; essa si mostra come la più totale accettazione e il più risoluto rifiuto della reclusione; come uno stato di coscienza doppio e dissociato. Chi volontariamente si reclude chiede al suo corpo di ‘staccare’, di andarsene dalle afflizioni indotte dal sistema relazionale che subisce e che non è in grado di cambiare; gli chiede di trovare in sé le buone energie per inoltrarsi in altre dimensioni dell’esperienza e della condizione umana. L’esito è consegnato, forse, ad un addestramento sottile che la cultura in cui viviamo sistematicamente scoraggia, all’esercizio di un ulteriore sdoppiamento che ci renda ‘presenti’ alle nostre identità dissociate, alle loro sacrosante ragioni ed ai loro limiti.
PDF: Reclusione volontaria. Renato Curcio
OPUSCOLO: A SCUOLA DI SFRUTTAMENTO DIGITALE
A SCUOLA DI SFRUTTAMENTO DIGITALE
Memorie di un’operaia dell’educazione
Anno 2021/2022
“Tecnologie che si propongono sempre più come connettore mente-conoscenza per una nuova pedagogia basata sulle evidenze, si, ma capitaliste, che dietro ad una retorica dell’inclusività, della cooperazione e della costruzione interattiva del sapere, nascondono dinamiche piu simili alla manipolazione e alla persuasione usata all’interno di certe aziende per promuovere la compliance dei lavoratori con l’ausilio di sistemi gamificati. Un’educazione decisamente comportamentista, che vede gli alunni e i loro comportamenti come qualcosa da correggere e manipolare a proprio piacere e l’individuo come qualcosa di completamente autofondato, separato dal suo contesto relazionale e ambientale.”
SPAZIO URBANO E PSICHIATRIZZAZIONE DELLA DISSIDENZA
[Polizia e psichiatria: conosciamo le loro cure e i loro trattamenti]
Il proliferare di pratiche psichiatriche va di pari passo ai processi che vedono le città configurarsi sempre più come industrie di sfruttamento e controllo. Metropoli mediate da aziende private, interconnesse e digitalmente sorvegliate, disciplinate sempre più in senso autoritario e iper-razionale, centri di profitto burocratizzati, scientificamente normati e igienizzati, tra telecamere “intelligenti”, “innovazione” urbana, sofisticate architetture e panchine antidegrado. Speculazione edilizia e militarizzazione dei territori aprono la strada ad affitti impossibili, sfratti e sgomberi, oltre che a progetti di ipocrisia sociale all’insegna del greenwashing, del socialwashing, della menzogna tecnologica [la smart city] e della falsa coscienza. A colpi di riqualificazione, decoro e repressione, si esaspera l’inesorabile processo di espulsione – legittimato da culture securitarie – di tutte quelle soggettività considerate problematiche al discorso del potere e non utili al profitto. Lungo le strade in ogni città rastrellamenti quotidiani si abbattono sulle fasce più marginalizzate della società. Una “sicurezza” sempre più “preventiva” , volta ad asfaltare tutti gli spazi di fiducia, libertà, relazione, intersezione, prossimità e solidarietà dal basso.
In nome delle bandiere del decoro e del degrado, controllo e repressione identificano costantemente nuovi “mostri” su cui scaricare insicurezza e timori per fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso: l’obbiettivo é spezzare qualsiasi possibilità di solidarietà e impedire qualsivoglia forma di messa in discussione del presente. La retorica del “decoro” e del “degrado”, la gestione violenta e iper-razionale dello spazio urbano, la pulizia di quanto imprevisto e non-normato, non sono altro che l’esito di un potere che si appella in modo sempre maggiore a paradigmi psichiatrici e a dicotomie di stampo binario e patriarcale. Questi paradigmi si consolidano nell’articolazione del potere di pari passo all’irreggimentazione delle strutture che lo regolano, e che regolano le relazioni all’interno dei territori e tra le persone.
Assistiamo all’uso sempre più frequente e capillare del daspo urbano per allontanare persone “sgradite”, e della manipolabilissima categoria di “pericolosità sociale” di derivazione psichiatrica e fascista per reprimere il conflitto e contenere/sedare diseguaglianze e oppressioni. Vediamo continuamente puntare il dito contro la “malamovida”, neologismo che si vuole contrapposto a “buona movida”, cioè a quella socialità che rientra perfettamente negli spazi e nei tempi del consumo. Anche l’infanzia è nel mirino: attraverso la costruzione mediatica del “bullo” e della “baby gang”, giovani e adolescenti sono continuamente trattati e rappresentati come un problema di ordine pubblico da reprimere mentre rimangono intatti quei modelli che il sistema stesso riproduce ed esalta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli all’interno di realtà dove solo chi ha soldi e potere è preso in considerazione, e chi non accetta di essere un cavallino da corsa non è nessuno. Nel frattempo imprese e attività commerciali sono incentivate a tappezzare i marciapiedi di telecamere con la promessa di detrazioni fiscali, gli individui sono incoraggiati a sorvegliare le strade a loro volta, forti di una crescente accessibilità dell’intervento delle forze dell’ordine, cementificandone il ruolo di controllo e repressione anche all’interno dei singoli, costantemente spinti alla delazione piuttosto che alla relazione.
Lo spazio pubblico irrimediabilmente costruito a immagine dell’uomo bianco, eterosessuale e borghese richiede prestazioni sempre più abiliste e performative che seguono norme ideali di neurotipicità o aspettative sociali calate dall’alto piuttosto che concrete e reali esigenze provenienti dalle soggettività oppresse che vivono desideri e bisogni altri.
L’organizzazione algoritmica dello sfruttamento, la mercificazione esasperata di ogni aspetto della vita, sta depoliticizzando l’incontro con noi stessi, con l’altro e con l’ambiente e incoraggiando una sempre più ampia disumanizzazione delle relazioni sociali. La psichiatria è pronta a raccogliere i cortocircuiti di queste oppressioni e a colonizzare con nuovo slancio il quotidiano e l’individuo: la platea di “difetti” e “tare” da “curare” è destinata ad aumentare proporzionalmente allo sfruttamento e all’oggettivazione che attraversano sempre più infanzia ed età adulta. Lo sfruttamento, l’isolamento e il disciplinamento esasperato di ogni aspetto della vita, l’insicurezza legata al presente e al futuro, la vede infatti in prima fila nell’individuazione di nuovi “disturbi” e “terapie” per “contenere” con nuove diagnosi e nomenclature le “ansie”, legate a rabbia, paura e frustrazione in crescente aumento, da addomesticare e spiegare con specializzazioni create ad hoc.
Ma la solitudine a fronte di un contesto comunitario deprivato si riferisce anche ad una vita sociale impossibile nei “loculi” domestici cittadini.
La famiglia nucleare patriarcale come modello dominante continua a svolgere il suo ruolo di piccola istituzione totale, laboratorio quotidiano di abusi, isolamento e oppressioni sistemiche: lo spazio domestico e familiare spesso infatti esaspera dinamiche oppressive con la tendenza mattofobica a isolare una vittima, che diventa tante volte capro espiatorio di situazioni nocive, da punire proprio quando manifesta in maniera eterodossa atti di libertà ed espressione di sè che non vengono capiti o accettati. Non dimentichiamo che, così come le violenze, anche il ricorso alla psichiatria, quando avvengono i TSO, proviene sovente da persone conviventi e spesso parenti della persona interessata, vuoi per mancanza di conoscenza, vuoi per mancata elaborazione di alternative, che il più delle volte nei nuclei famigliari sono assenti o non ricercate per l’accumularsi e incancrenirsi di processi tendenti a circoli viziosi che si richiudono al loro interno.
Tutto questo, come soggettività con un posizionamento antiautoritario e antipsichiatrico non solo ci riguarda, ma ci chiama in causa. Le strade che vorremmo percorrere sono in direzione altra rispetto alla famiglia intesa come nucleo ciseteronormativo, nella direzione di legami e parentele inedite dove l’aspetto di interdipendenza e cura reciproca si alimentano in un circolo virtuoso.
E’ evidente quanto la fatica ad organizzare una resistenza derivi in primo luogo dall’inesorabile sottrazione di reali spazi di autodeterminazione, soggettivazione e messa in comune delle esperienze, in favore della competizione fra individualità deprivate, impegnate a sopravvivere e concorrere come monadi per rimanere a galla.
CONOSCIAMO LA FALSA SICUREZZA CHE VENDONO PSICHIATRIA E POLIZIA, CONOSCIAMO LE LORO CURE E I LORO TRATTAMENTI!
A fronte di un’oppressione che vede coinvolte sempre più soggettività, crediamo sia urgente e necessario individuare spazi dove liberare complicità, legami nuovi e solidarietà impreviste!
Collettivo antipsichiatrico STRAPPI
PDF PSICHIATRIZZAZIONE DISSIDENZA
LIBRI: DIVIETO DI INFANZIA, PSICHIATRIA CONTROLLO, PROFITTO
DIVIETO DI INFANZIA
Psichiatria, controllo, profitto
Di Chiara Gazzola e Sabastiano Ortu
2018
La tendenza della cultura occidentale a medicalizzare ogni fase della vita si estende all’infanzia e all’adolescenza codificando nuove diagnosi psichiatriche, colpevolizzando espressività e comportamenti, sancendo nuovi limiti di definizione delle presunte anomalie e offrendo all’industria farmaceutica proficui sempre più copiosi. La scuola pubblica è il luogo privilegiato per avviare, attraverso strumenti approssimativi, l’iter diagnostico. L’aumento esponenziale di certificazioni, sancite per catalogare ogni difficoltà dell’età evolutiva, induce alla prevaricazione dell’approccio clinico danneggiando la relazione educativa. Quali le possibilità di opposizione alla diffusione degli screening e a obiettivi formativi che limitano la libertà professionale degli insegnanti? Quali le alternative per i genitori? Affinché la fantasia, il senso critico e la libertà di scelta continuino a caratterizzare l’infanzia, tutta la comunità adulta dovrà difendere le nuove generazioni e la propria responsabilità tornando a riflettere sull’importanza dell’ambito sociale e relazionale.
FUMETTO: LETTERA AI PRIMARI DEI MANICOMI DI ANTONIN ARTAUD ILLUSTRATA
Illustrazione e disegni di Massimo Benucci sul testo “lettera ai direttori dei manicomi” di Antonin Artaud.
LIBRI: 41-bis. IL CARCERE DI CUI NON SI PARLA
41 bis. Il carcere di cui non si parla
M. Rita Prette
2012
In questo libro si percorrono la storia recente del carcere e dei suoi dispositivi punitivi, seguendo la traccia delle emergenze che di volta in volta ne hanno determinato – o pretestuosamente consentito – l’evoluzione. Prendendo l’esperienza armata degli anni settanta come analizzatore, si presenta la nascita del 41 bis e del corollario di articoli di legge che, dal 1986 ad oggi, sono in uso per privare di ogni diritto quei detenuti dei quali si vuole, con la forza, cancellare l’identità per sostituirla con un’altra.
OPUSCOLO: LA BUSSOLA NEL CAOS
DALL’INTRODUZIONE:
Questa è una fanzine partecipativa. L’intenzione è che serva a riconoscere, rappresentare, fare una mappa per navigare nei brutti periodi o nei momenti di crisi.
Puoi usarla così com’è, modificarla o inventarne una nuova, cerca di farla tua! Questo formato non può funzionare per tuttx, speriamo comunque che ti ispiri a farne qualcosa. Pasticciala, tagliala, disegnaci, bruciala, incollaci sopra qualcos’altro, fanne carta igienica… l’idea è che tu abbia vicino qualcosa da usare se ti senti in crisi, se provi emozioni troppo intense, e costruire strumenti per prenderti cura di te o perché possano farlo delle persone amiche. Può darsi che non serva per niente, allora prendilo come spunto per trovare qualcos’altro che possa andare bene per te.
Questo quaderno è il frutto delle nostre esperienze e ricerche personali, delle nostre lotte di costruzione e decostruzione. Abbiamo trovato un testo proveniente dal mondo dell’antipsichiatria (Mapa de locos), scritto da una persona che l’aveva creato per sé, l’abbiamo ripreso e sviluppato [estrapolato dall’introduzione dell’originale]: “Questo é un tentativo per immaginare altri modi in cui chiunque possa riconoscersi al di là delle etichette della medicina e della psicologia-psichiatria.
Sentiamo l’importanza di rivendicare che i nostri corpi funzionano ognuno a suo modo, e di prendersi il tempo e lo spazio per guardarci dentro e scoprire le nostre diverse identità senza paura di essere etichettatx o giudicatx per quello che può capitarci.
Vorremmo propagare un impulso verso un diverso modo di comprendere il mutuo appoggio nelle nostre comunità e pensare a come potremmo ascoltarci, curarci mutuamente e trasformare le nostre relazioni.
Sfidiamo l’idea che il modo in cui sperimentiamo il mondo è sbagliato, l’idea di essere qualcosa che ha bisogno di essere corretto per “tornare ad essere normale”. Preferiamo pensare alle nostre esperienze come a qualcosa di cui avere cura, qualcosa che ci dà forza, che ci dà materiale per capire cose importanti dei nostri cuori, delle nostre menti, dei nostri
corpi…
Vogliamo liberarci tra noi e liberare il mondo che ci circonda”. Questa liberazione passa secondo noi attraverso la responsabilizzazione dell’individuo, che permette di scegliere attivamente come reagire o gestire i propri stati, al contrario della psichiatria, che impone una cura diretta dall’alto (medico) verso il basso (paziente) senza lasciare scelta e applicando
un trattamento repressivo quando certi limiti vengono superati.
La sofferenza è diversa per ognun*. A volte le spalanchiamo le porte come a una situazione in cui ci si sente a casa, altre la reprimiamo e neghiamo le nostre emozioni dicendo “non sono mica senza cibo, in un paese in guerra”… tipico senso di colpa che ci si infligge quando non si trova razionalmente degna la propria sofferenza; eppure riconoscerla e permetterle di essere non vuol dire “fare la vittima” (spesso siamo vittime soprattutto di ciò che diciamo a noi stessx!)… anzi significa attivare, coscienti che siamo responsabili per noi stessx, un processo che va nella direzione di sentirsi meglio. Per trasformarci e lavorare su di noi è imprescindibile conoscersi e accettarsi per come si è, con le proprie vulnerabilità, i propri limiti, ma anche qualità, potenze, desideri, abilità…
labussolanelcaos@insiberia.net